mercoledì 28 settembre 2011

Charlie White

Montgomery Carmichael fu ufficiale consolare e poi console a Livorno dal 1890 al 1922. Dopo la pensione continuò a risiedervi fino alla morte, nel 1936. Pubblicò il suo Tuscan Towns, Tuscan Types and the Tuscan Tongue nel 1901. Questo è il secondo di tre post, tratti da un capitolo del libro, in cui approfondiamo la nostra conoscenza di un Carlo Bianchi pieno di risorse.

Vecchia cartolina, Quattro Mori, LivornoQuesto successe sei anni fa. Ormai conosco molto bene il mio amico e lo tengo nella massima considerazione. Il suo nome è Carlo Bianchi ed è il gestore di una pensione per marinai inglesi. Il suo tratto dominante - se tralasciamo la sua grande e naturale bonarietà - è un'appassionata e reverente ammirazione per ogni cosa ed ogni persona inglese. Lo potete far soffrire solo in un modo, chiamandolo “Carlo” o “Bianchi”. Lui si fa chiamare “Charlie White” e ha scritto “Charlie” come “Cialì” anche sul biglietto da visita con cui annuncia che ha una “home” che offre ogni conforto agli appartenenti alla Marina Mercantile britannica. È questa sua appassionata ammirazione per ogni cosa britannica che lo spinge, quando non ha di meglio da fare, ad andare in barca sotto qualche vapore con la speranza di poter essere utile a qualche viaggiatore inglese privo di aiuto. Spesso si trova di fronte poca cortesia e profondo scetticismo, ma lui rimane imperterritamente reverente. Dobbiamo essere davvero una grande ed orgogliosa nazione per aver suscitato tutta questa ammirazione nel seno di un uomo di mondo toscano come “Cialì”, anche perché come regola lui non vede altro che la parte più degenerata dei Britannici. Gli appartenenti alla Marina Mercantile inglese che finiscono sotto la sua cura paterna sono troppo spesso il peggio della categoria, uomini che hanno disertato le loro navi, mancato l'imbarco per solenni ubriacature o che sono stati educatamente ospitati nella temperata seclusione di una galera toscana o nella ancora più mite reclusione di una stanza dell'ospedale cittadino in seguito a qualche rissa dopo un baccanale. Se incoraggiasse i loro vizi avrebbe certamente più clienti nella sua pensione e più soldi in tasca, ma lui invece va in giro a recuperarli da posti poco raccomandabili, reclama le loro paghe di cui sono stati truffati, li carica su battelli per rispedirli a bordo delle loro navi per salvarli dalla diserzione e tutto questo perché rispetta la nazione inglese anche nella sua feccia.
Quasi ogni giorno “Cialì” si presenta a casa mia con la rispettosa offerta dei suoi servigi. Devo inventare varie commissioni per evitargli di sentirsi abbattutto. Non lo pago, prende in prestito liberamente, ma sempre mi ripaga. Accetta con gioia un vecchio vestito che porterà con distinzione pavoneggiandosi. A volte visito la sua grassa “Signora” alla pensione e riesco ad infilare qualche spicciolo nei salvadanai dei bambini. Riesco a passargli cifre più sostanziose solo ricorrendo ad espedienti. Uno studio di avvocati in Inghilterra che pagano per questo o un armatore inglese vuole la tal cosa fatta, allora tutti gli scrupoli di “Cialì” svaniscono. Ma devo usare questi trucchi di rado, perché è astuto, osservatore e piuttosto pratico di ogni tipo di onesto inganno nonché un maestro nell'arte gentile del dare senza senza farlo apparire. Certamente la sua fede nella natura umana riceverebbe un duro colpo se mai scoprisse da parte mia qualcosa così perfido come il tentativo di ricompensare dei servigi devoti che erano intesi come pura lealtà ed affetto.

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Montgomery Carmichael, “In Tuscany”
John Murray, London 1901


Vedi anche: In Toscana - Livorno “la Cara”